Nel cinema di Paolo Virzì lo svelamento delle anime e delle intenzioni effettive di ciascun personaggio sembra passare, in primo luogo, per i brani musicali e soltanto dopo per la scrittura. La scelta della colonna sonora, infatti, non appare mai casuale, e Cinque secondi, il suo diciassettesimo lungometraggio da regista, scritto con il fratello Carlo e Francesco Bruni, lo dimostra con forza. Per esempio, tra i numerosi brani (e artisti) contenuti nel film, Place To Be di Nick Drake risuona più e più volte, raccontandoci molto sugli stati d’animo del suo protagonista – l’avvocato Adriano Sereni, interpretato con efficacia da un Valerio Mastandrea nuovamente in sottrazione, seppur mai così incupito, dolente ed ermetico – ben prima che lui o altri facciano lo stesso.
Se quella di Drake è una ballata folk malinconica e gentile, dedicata a tutti coloro che, almeno una volta nella vita, si sono sentiti perduti, vulnerabili o ancora tristi e nostalgici rispetto a un tempo che è stato e che ora non è più, Cinque secondi di Virzì ne intercetta appieno il sentimento di alienazione e spaesamento, affidandosi talvolta a silenzi eloquenti, altrimenti al preciso soppesamento della parola. La quale, in un primo momento, sembra rinchiudersi in sé stessa, rinunciando a suoni e significati (grugniti e brontolii, però, non mancano), per poi deflagrare nel corso del gran finale: quello in cui i nodi irrisolti finalmente si sciolgono, seppur con crudo realismo, e le anime si rivelano per ciò che sono, tra aule di tribunale, conversazioni virtuali fino a lì inesistenti e potenziali affetti familiari curiosamente ritrovati.
Nel mezzo, il peso della solitudine, la fuga come dimensione ultima (e disperata) di salvezza, il silenzio che un po’ ottenebra e un po’ conforta, e il significato profondo di genitorialità o, più in generale, di famiglia. Nelle scuderie di un antico cascinale in Toscana, ora adibite a B&B (la muffa è dappertutto, ma poco importa), sopravvive in piena solitudine il fu avvocato di fama Adriano Sereni, il quale ogni giorno scrive amorevolmente la buonanotte (e non solo) a un ragazzo che inizialmente non ci è dato conoscere e che conduce lo spettatore a porsi numerosi interrogativi. Primo dei quali: il destinatario è morto e l’avvocato non ha ancora accettato l’ineluttabilità dell’accadimento? Così sembra. Eppure non è.
Nel frattempo, un collettivo di giovani ecologisti si sistema alla bell’e meglio nella villa sottoposta a sequestro (e in procinto di crollare), appena di fronte alle scuderie. A spezzare la solitudine di Adriano non è soltanto il caos, bensì la novità – o forse il passato, seppur in una veste differente. Il Virzì di Cinque secondi non è quello che abbiamo incontrato negli ultimi anni, bensì quello degli esordi. Distante dalla rivisitazione nostalgica e dolorosa del tempo familiare (oltreché sociale e storico) ormai andato perduto, al pari della spensieratezza e dell’innocenza proprie di La prima cosa bella, Ovosodo e Caterina va in città, toni e linguaggi di Cinque secondi sembrano comunque guardare a quegli istinti e a quell’emotività, immaginando una potenziale fuga dal dolore che è tanto fisica quanto mentale.
Oltre la società, oltre i ruoli e gli obblighi cui siamo chiamati a rispondere quotidianamente, assumendoci scomode responsabilità e così confessando colpe talvolta scomode, altrimenti tragiche e definitive. Certamente l’idillio non è mai tale, e nasce anch’esso dalla sofferenza, la quale ne incontra un’altra e poi un’altra ancora – c’è chi è uscito da dipendenze, chi da traumi affettivi, da depressione e così via – costituendo un vero e proprio nucleo familiare che, per quanto inatteso, risulta capace di osservare il perdono e così l’amore, quello vero e sconfinato.
Non è il film più solido di Paolo Virzì, eppure è vitale, sgangherato, continuamente pulsante e istintivo, grazie anche al contributo in scrittura del Francesco Bruni di Noi 4 (la cui influenza qui…) e Tutto chiede salvezza. “Sono gli ormoni”, dice ripetutamente l’avvocato Adriano Sereni. Ha proprio ragione. O forse solo in parte. Tutt’intorno, le complessità degli affetti, dei dolori e di quel gran casino che è il rapporto genitori-figli, laddove insieme all’amore inevitabilmente nascono traumi e interrogativi destinati a restare senza risposta alcuna. Poiché, come è bene considerare, è il primo giro di giostra per entrambi, e l’errore – perfino il più drammatico e amaro – va perdonato.
di Eugenio Grenna, 29 Ottobre 2025 – sentieriselvaggi.it